Cane senza vista aiuta i cuccioli a evitare la sua disabilità
Un cane senza vista adesso fa da tutor ai cuccioli, per evitare che anche loro finiscano con la sua stessa problematica
Shola è un cane senza vista. Era un animale da soccorso, che ha salvato tantissime vite umane in diversi interventi d’urgenza che hanno richiesto il su supporto. Poi, improvvisamente, cinque anni fa il Pastore Inglese di 9 anni è diventato cieco. I medici gli hanno diagnosticato una forma ereditaria di cecità, dovuta a un’atrofia progressiva della retina che non si poteva curare. Oggi si occupa di dare una zampa ai cuccioli per evitare che possano crescere e non vedere più quanto è bello il mondo.
Shola ha sempre lavorato come cane da ricerca e soccorso per l’Edale Mountain Rescue Team, con il suo conduttore John Coombs. Le sue missioni spesso riguardavano la ricerca di persone scomparse nelle zone montuose Peak District, nel centro dell’Inghilterra. Improvvisamente, il suo proprietario ha scoperto che era malato. Lui, però, non si è arreso, nonostante il cane sia ormai senza vista. Lui adesso viene impiegato per poter aiutare altri cuccioli a non dover più subire quello che ha vissuto lui sulla sua pelliccia.
I ricercatori di Cambridge hanno messo a punto uno studio sul Dna, per realizzare un test genetico che può aiutare i cani della sua razza che nasceranno in futuro a non avere più questa problematica. Il 62enne Jackie Graves, che ha allevato Shola, ha detto che non ci saranno più cuccioli ciechi. Lui ha cresciuto non solo questo cane da soccorso, ma anche altre cucciolate. L’ultima, composta da due animali, è totalmente negativa a quella mutazione genetica che porta alla degenerazione della vista. “Ora che abbiamo il test del Dna, non c’è motivo per cui un altro Pastore Inglese debba nascere con questa forma di atrofia progressiva della retina: ciò fornisce agli allevatori un modo per eliminare completamente la malattia””.
Lo studio in questione è partito proprio da Shola e, secondo la ricercatrice in Medicina Veterinaria di Cambridge, Katherine Stanbury, anche prima firma dello studio pubblicato su Genes, la ricerca “potrebbe anche far luce sulla versione umana della malattia e potenzialmente identificare obiettivi per la terapia genica in futuro”.