Uomo malato grazie al suo cane riesce ad affrontare meglio la malattia
I cani in ospedale possono aiutare ad affrontare meglio la malattia. Ne è la dimostrazione la storia di quest'uomo malato e del suo amato cane
In tutti gli ospedali del mondo dovrebbero consentire l’ingresso degli animali domestici. I pazienti potrebbero beneficiare della loro presenza, riuscendo ad accettare meglio le proprie condizioni di salute e le terapie a cui sono sottoposti. Come nel caso dell’uomo malato e del suo cane, che gli ha permesso di affrontare la malattia con più forza e coraggio.
James Wathen stava vivendo un momento difficile della sua vita. Malato terminale, nel 2014, l’uomo di 73 anni si trovava ricoverato presso il Baptist Health Hospital, a Corbin, nel Kentucky. In ospedale chiedeva sempre di poter avere accanto il suo Bubba, il Chihuahua con un occhio solo che era diventato il suo compagno di vita.
Separati a causa della malattia e del ricovero dell’uomo, James Wathen e Bubba hanno smesso di mangiare. Una condizione pericolosa per l’uomo che era già terminale. Così le infermiere del suo reparto hanno deciso di fare tutto quello che era in loro potere per far rivedere all’uomo il suo amato cane, per tirarlo un po’ su e aiutarlo in quel momento difficile.
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Le infermiere hanno contattato il Knox Whitley Animal Shelter, dove l’uomo aveva lasciato Bubba, visto che non poteva più prendersi cura di lui. Si trovava presso una famiglia affidataria. L’11 ottobre del 2014, James ha potuto riabbracciare il Chihuahua:
Quando Bubba è stato portato da James, ha iniziato a guaire e poi ha iniziato a coccolarlo. Questo ti fa capire che i cani non sono solo animali domestici, ma creature amorevoli.
La presenza di Bubba ha iniziato a fare subito effetto sul paziente terminale.
Il giorno dopo il loro incontro le infermiere hanno notato che il paziente sembrava avere nuove energie, mangiava, si sedeva, aveva di nuovo voglia di vivere. Così hanno deciso di chiedere in direzione di permettere a Bubba di far visita più spesso al suo amico umano. Una richiesta che dovrebbe essere accettata negli ospedali di tutto il mondo, per il bene dei pazienti!
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